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Il « Pasolini » mancato di Abel Ferrara

Se il cinema di Abel Ferrara incontra una personalità complessa e con infinite sfaccettature quale è indiscutibilmente Pier Paolo Pasolini, l’attesa è alta.Perciò stupisce vedere, di domenica, allo spettacolo delle ore 20.30, in una sala di almeno trecento posti, una ventina di presenze in tutto, nonostante due grandi nomi di richiamo. Ormai, tutto deve sottostare alla dura legge del web rispetto alla velocità del traffico ci informazioni, anche il cinema proiettato in sala.

Il tentativo di mostrare un Pasolini dello scandalo intrecciato al Pasolini creativo è scarsamente riuscito. Non è esibire un rapporto orale negli ambienti della prostituzione omosessuale che può destare scandalo; la scena è la rivisitazione filmica, abbastanza fedele, di una parte di Petrolio, in cui il protagonista fa una sorta di esperienza iniziatica spinto da una metamorfosi kafkiana, facendo sesso orale con nove ragazzi, a turno (Appunto 55 – Il Pratone della Casilina; il gruppetto è composto da venti ragazzi). La pornografia è scandalosa soltanto per gli sprovveduti spaventati dalla vita e per gli apparati repressivi del potere. Resta una scelta abbastanza povera, rispetto alla complessità di contenuti e personaggi, ridurre Petrolio al sesso orale omosessuale.

Colpisce la maschera di William Defoe, ben calato nel personaggio, ma la voce scelta per il doppiaggio è inappropriata. Pasolini aveva una voce sottile, pacata e cadenzata, al contempo piena di calore. Soprattutto, è troppo nota e ascoltata; scegliere una voce così spessa e profonda per doppiare Defoe è una leggerezza che potrebbe commettere un dilettante dei mass-media.

Di Pasolini, resta solo la caratterizzazione suggestiva di Defoe. Le parti migliori del film, le più evocative per forma e contenuti, riguardano il progetto irrealizzato di un film porno-filosofico, che avrebbe visto Eduardo De Filippo nel personaggio di Epifanio. È il sogno di Ferrara rispetto a cosa sarebbe potuto diventare lo sviluppo di quel soggetto e sono le uniche parti del film da salvare.

Manca l’approccio formale tipico del regista, che sembra perdersi in un tumulto caotico di immagini poco comunicative. Il montaggio, che alterna i sogni creativi di Pasolini agli accadimenti dell’ultimo giorno di vita, ottiene il risultato di lasciare l’essenza del poeta sullo sfondo. Gli altri personaggi, importanti e insostituibili, come sua madre e Laura Betti, restano fantasmi anonimi, comparse occasionali. Nel finale, molto atteso dal pubblico, un’attesa ignorata dallo sceneggiatore Maurizio Braucci, la morte di Pasolini coincide con la morte del film. Nonostante le sentenze di assoluzione, rispetto alla presunta pedofilia di Pasolini; nonostante sia ipotizzabile che molte denunce per molestie siano frutto di trappole, della persecuzione che il potere (politico, massmediatico, religioso, mafioso) ha perpetrato nei suoi confronti, l’intero film mostra più l’adescatore di minorenni che l’artista.

Occorre interrogarsi sul perché, per inscenare l’omicidio di Pasolini, sia stata scelta la versione che negli anni è stata accertata come la messa in scena di un depistaggio, grazie al coordinamento di vari poteri: CIA, servizi segreti italiani, politici, mafia, estrema destra, tutti ad eseguire le volontà dei grandi monopoli industriali dell’elettricità che manovrano il petrolio. È un puzzle talmente grande che è difficile averne una visione sinottica, al punto che sorge il dubbio: possibile che siano stati tanti poteri ad aver voluto la morte di uno scrittore? È possibile inserendo l’omicidio di Pasolini in un contesto più ampio, in cui sono stati assassinati Enrico Mattei, Mauro De Mauro e J. F. Kennedy, tutti molto diversi, per ruoli occupati e personalità, ma uniti da una cosa: avevano infastidito vari gruppi di potere afferenti al contesto politico, mafioso e finanziario, con le loro scelte e dichiarazioni pubbliche. È un quadro molto ingarbugliato per cui rimandiamo l’argomento alle trattazioni specifiche. Sui rapporti, finora segreti, tra Kennedy e Mattei, rimandiamo alle dichiarazioni di Benito Li Vigni (assistente personale di Mattei), facilmente reperibili in Youtube.

Lo sceneggiatore Braucci dichiara che era sua intenzione fare un’inchiesta non giudiziaria ma letteraria. Vorrei ricordare a Braucci che metà della vita di Pasolini è stata un’inchiesta giudiziaria: trentatre procedimenti, di cui uno per rapina! Dell’inchiesta letteraria tentata nel film, c’è quasi nulla, se non l’escursione parziale dell’ultimo progetto cinematografico irrealizzato. La sensazione è che Braucci non abbia mai letto Pasolini se non le quattro cose per realizzare il film; che non abbia mai seguito le vicende giudiziarie, le inchieste sulla morte, come se si fosse approvvigionato in maniera estemporanea e superficiale di poche e affastellate informazioni.

Alla fine del film, la solita versione, cara al sistema censorio che deve subire il cinema in Italia ora e sempre: Pasolini tenta di violentare Pino Pelosi, accorre un gruppo di balordi amici di Pelosi, che danno una lezione al violentatore pedofilo e diventano i veri eroi del film. È incredibile come a distanza di anni continui lo scempio sul cadavere di Pasolini.

Interrogato in merito, Braucci ha risposto in modo allarmante: «Ci siamo attenuti al processo del 1976...un buon processo». Non esiste un giurista che, visionati gli atti, reputi «buono» il processo del 1976. Come può esserci un buon processo, se è basato su indagini condotte con superficialità, su scena del crimine inquinata, su prove e testimonianze mai raccolte, senza rilievi scientifici su molte tracce, con i bambini che giocavano a calcio sulle macchie di sangue disseminate ovunque?

Caro Braucci, sei rimasto al 1976? E scrivi? Inoltre, se parliamo di cose tecniche, dovresti sapere che la verità processuale non è in rapporto diretto con la realtà fattuale: è una rappresentazione dei fatti riletti attraverso determinati codici, linguaggi e procedure: è «rappresentazione», quindi in qualche modo «falsificazione». Ci sono parti, anche importanti, degli eventi che non entrano mai in tribunale: non esisterebbero le inchieste giornalistiche; non potrebbero esistere alcuni film di F. Rosi, che aggiungono ulteriori interrogativi e documenti rispetto ai procedimenti giudiziari.

Braucci non ha fornito risposte sul perché abbia scelto la versione del 1976, inscenando anche un’accertata assurdità: Pelosi che con un asse di legno marcio spacca la testa di Pasolini. È certo che fu un oggetto di metallo a creare, con un colpo secco, la profonda ferita che gli aprì il cranio in due, segno che l’intento fu subito di uccidere. Il poeta, abituato alla strada, se n’era accorto: non avrebbe altrimenti tentato di tamponare la ferita sfilandosi la camicia, sarebbe soltanto fuggito. Da quella ferita zampillava sangue; eppure, le immagini televisive girate immediatamente dopo l’arresto, mostrano Pelosi lindo, gli abiti appena stirati e i capelli freschi di parrucchiere. Sembra pronto per andare in discoteca e non reduce da una rissa sanguinosa.

Il cinema non può essere la riproposizione di un procedimento giudiziario: altrimenti è cinema di stato. Infatti, il dubbio che sorge, giustamente sorge, considerando che il film è stato finanziato dallo stato italiano, è che sia partito un ordine «dall’alto», per imporre quella versione al film, altrimenti...niente finanziamento. Se un mezzo potente come il cinema deve essere utilizzato per fare il compitino in classe, meglio dedicarsi ad altro. Le ultime ore di Pasolini devono essere ricostruite, ciò che non è stato fatto nel 1976 e nemmeno nel film di Abel Ferrara.

Sergio Citti, uno dei più assidui frequentatori di Pasolini, sostiene che lo scrittore non frequentasse l’Idroscalo di Ostia perché risaputo come luogo pericoloso per aggressioni e rapine. Dopo la cena con Ninetto Davoli, disse che avrebbe dovuto incontrarsi con dei tizi per recuperare le pizze di Salò, trafugate qualche giorno prima dagli studi della Technicolor a Roma. Il montatore Ugo De Rossi dichiarò subito ai carabinieri che il recupero delle bobine era fondamentale per Pasolini.

Il ruolo di Pelosi non è ancora stato chiarito. I casi sono due: Pelosi accetta di fare da tramite per il semplice recupero del film e si ritrova in un evento che non può più controllare; Pelosi accetta di fare da esca perché, conoscendo la pericolosità dei personaggi, una volta ricevuta la proposta e conosciuti quindi gli intenti, avrebbe temuto per la sua vita se avesse rifiutato.

Secondo Sergio Citti, e come ipotizzato da qualche inquirente, è probabile che Pasolini sia stato condotto all’Idroscalo, con la forza o con la scusa che le pizze fossero nascoste lì. Se le cose stessero così, è falso che ebbe un rapporto sessuale col minorenne e reticente Pelosi. Il coinvolgimento dei fratelli Borsellino, due omosessul-criminali, due balordi-battone, afferenti all’estrema destra, informatori di polizia e servizi segreti, calabresi con legami mafiosi, morti di AIDS, che avvicinarono Pelosi per l’adescamento del poeta, servì per depistare le indagini. Grazie anche all’aiuto determinante dei mass-media, fu rafforzata la tesi che il delitto fosse maturato in ambienti omosessual-criminali legati all’estremismo di destra, a causa di un presunto stupro tentato da Pasolini (tesi colpevolmente seguita da Braucci).

Pasolini fu colpito da almeno quattro persone, con spranghe di ferro taglienti: l’autopsia stabilì la totale asportazione dell’orecchio sinistro, una macellazione impossibile da fare con bastoncini di legno tarlato, che secondo il processo del 1976 sarebbero serviti per lo scempio. È falso che l’intento fosse un pestaggio. Gli esecutori erano di mano mafiosa e i sicari della mafia sanno come pestare e come uccidere, sempre tenendo presente che la mafia eseguiva ordini più «alti».

Pasolini era uno sportivo, non si tirava indietro in una rissa e la sprangata che gli aprì la testa in due la percepì subito come un tentativo per ucciderlo. Corse per settanta metri col cranio sbudellato prima che fosse finito a sprangate e calci nei testicoli. È quasi certo che non fu l’auto guidata da Pelosi ad investirlo. L’auto che lo investì viaggiava sulla corsia destra; fu necessaria una deviazione larga per investire il corpo. Nessuno si è chiesto, nell’assenza totale di luce elettrica, in una strada piena di buche profonde ricoperta di acqua e fanghiglia, come sia stato possibile, con i soli fari dell’auto, individuare il corpo seminascosto. Personalmente, avendo frequentato discariche e luoghi simili all’Idroscalo da bambino, penso in un solo modo: chi ha bastonato Pasolini era in piedi intorno al corpo; l’auto, illuminandoli con i fari, è stata diretta verso di loro e volontariamente è passata sul corpo. Un pescatore, che era lì e vide tutto (non volle testimoniare per paura di ritorsioni), riferì a Sergio Citti che l’auto era andata avanti e indietro un paio di volte, per essere sicuri di averlo schiacciato: oltre a confermare la volontà di uccidere, significa anche che non riuscivano a vedere il corpo a due metri di distanza. Un pestaggio degenerato non finisce con un inseguimento e lo schiacciamento di un corpo ormai quasi privo di vita ma con una fuga: è nell’ordine di queste dinamiche. Quindi, sia chiaro definitivamente: fu una spedizione di morte.

C’è una cosa che, per depistaggio o per ingenuità, non fu presa in considerazione. Ci sono tanti modi per uccidere quanti permette la fantasia umana. Il modo in cui qualcuno è assassinato dice sempre qualcosa sul perché, può instradare le indagini. Pasolini è stato ucciso a «bastonate», anche se il bastone era una spranga. Chi uccide così e perché? La mafia, soprattutto calabrese, anche se Pelosi riferisce che uno degli aggressori gridava «arruso» o «jarruso» («frocio» in dialetto siciliano). Sono uccisi a bastonate gli «infami», i «soffi» (gli informatori, gli spioni), le ultime ruote del carro che fanno la cresta sugli affari dei clan. È una modalità omicida scelta quando non si vuole subito dare il sollievo della morte, per suscitare nella vittima il senso di morte mentre è ancora in vita, come se la morte fosse una punizione non sufficiente. La mafia uccide a bastonate per dire che la vittima, in fondo, è un uomo senza valore, che non merita «rispetto».

I dubbi veri sono principalmente due: se Pelosi abbia fatto consapevolmente da esca e a quali fini; se Pasolini è arrivato all’Idroscalo senza soste precedenti, condotto con la forza o con un tranello. Sussistono almeno quattro o cinque moventi: ogni potere o sottopotere che ha partecipato alla macellazione del poeta aveva un proprio movente.

«Da Ragazzi di vita in poi, Pierpaolo era stato continuamente processato e spesso condannato, c'era stato un linciaggio che era durato molto a lungo. Chi lo aveva ucciso si sentiva non solo autorizzato, ma pensava di aver fatto qualcosa di buono, di aver ripulito il paese. La cosa che oggi mi viene in mente è che fosse come se il palazzo avesse lanciato una fatwa nei confronti di Pierpaolo. Non ho mai creduto che Pelosi fosse solo, perché sapevo benissimo quante volte Pierpaolo fosse stato minacciato o aggredito e di come avesse sempre saputo difendersi. Ora, come poteva questo ragazzino, che non aveva su di se una goccia di sangue quando l'arrestarono, aver ridotto Pierpaolo ad un mucchio di spazzatura come disse la prima testimone che trovò il corpo?» (B.Bertolucci).

Il cinema non è fatto per attenersi alle sentenze del 1976 o a qualsiasi sentenza istituzionale: è un mezzo fatto per osare, più vicino all’anarchia che all’istituzione. È possibile inscenare un finale onirico, visionario, di suggestione, anche di un fatto di cronaca, come in Buongiorno notte, e risultare credibile; ma un finale falsificante (depistante) è del tutto inaccettabile.


dott. Antonio Farese

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